I giornalisti inglesi arrivano a frotte sul luogo della strage vicino al lago di Annecy.
Tante domande poche certezze sulla strage di Chevaline.
Le indagini continuano serratamente in tutte le direzioni, nessuna ipotesi è esclusa dalla pista criminale, regolamento conti, a dramma familiare, potrebbe esserci di mezzo anche una storia di eredità
L’immagine che segue ricostruisce la scena della strage.
L’unica vera certezza rispetto ai turisti inglesi è il nome del proprietario dell’auto un ingegnere irakeno, un uomo di una cinquantina di anni , nato a Bagdad ma fuggito dal suo paese negli anni settanta e da tempo cittadino britannico. Nell’auto anche un passaporto svedese presumibilmente della donna più anziana.
Per il momento la polizia francese si rifiuta di arrivare a conclusioni : che il proprietario e la vittima siano la stessa persona e che i morti con l’eccezione del ciclista francese e le bambine siano componenti della stessa famiglia.
Si attendono le rivelazioni delle analisi in corso specialmente quella del DNA.
L’identità del ciclista francese è invece chiara. Un padre di famiglia di 45 anni della zona la cui moglie preoccupata per l’assenza prolungata del marito aveva informato la polizia che ha potuto così rapidamente identificare la vittima francese.
Le notizie sono però rilasciate con il contagocce e soprattutto nessuna conferma e poche informazioni trapelano.
Si parla anche di un fuoristrada un 4x 4 visto da diversi testimoni nella zona, ma la polizia non rilascia dichiarazioni: è chiaro che non vuole far sfuggire informazioni che possano nuocere all’inchiesta.
Il procuratore della Repubblica che si è espresso giovedì sera sulla rete televisiva TF1 ha spiegato che le vittime sono morte per diverse pallottole e che tutte ne hanno ricevuto almeno una nella testa.
Il procuratore ha concluso constatando che si è trattato di una strage caratterizzata da una ferocia inaudita.
Le condizioni delle due bambine sono per quanto possibile, data la situazione, rassicuranti.
La più grande che doveva subire una seconda operazione ed essere messa in coma artificiale non è più in pericolo di vita.
La piccolina rassicurata dai gendarmi che la hanno estratta dall’auto dove era rimasta immobile per ben otto ore, aveva ripreso a parlare ed ora è presa in cura da servizi specializzati.
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