Macintosh 1984, NeXT 1988 e l’iMac1998 sono i tre momenti scelti da Danny Boyle e Aaron Sorkin per raccontare la vita del guru di Apple, Steve Jobs.
La storia raccontata in questo film non è incentra sulla maestosità dell’azienda con sede a Cupertino oppure sulla volontà di esaltare il genio ribelle di Steve Jobs, bensì si tratta di una storia “di dietro le quinte”, una storia che ci mostra il lato più profondo e nascosto del visionario.
122 minuti di dialoghi intensi e serrati da vivere tutti d’un fiato, 122 minuti di salti temporali, 122 minuti di parole pungenti e mai dolci, 122 minuti di storia che per ovvie ragioni temporali storia ancora non è, 122 di dialoghi che si intrecciano con inquadrature decentrare e a tratti sghembe dando vita ad una sinfonia deliziosa.
Lo Steve Jobs tratteggiato in questo film è un uomo perfettamente consapevole delle proprie debolezze, cosciente dei propri punti di forza, che non tende a mascherare i propri difetti anzi li “sbatte in faccia” a tutti coloro che gli stanno accanto ma soprattutto appare come un essere umano imperfetto proprio come tutti noi.
In questo film, inoltre, non vengono messi in luce solo i successi di Steve Jobs ma la parte più interessante è rappresentata proprio dagli insuccessi sia sul piano lavorativo come il Macintosh e il NeXT sia sul piano affettivo come il complicato rapporto con la figlia Lisa, a cui ha dedicato il primo computer.
Quanto detto fa trasparire l’ex CEO di Apple come un personaggio in grado di rinunciare ai rapporti interpersonali, rinunciare all’umana comprensione, rinunciare al “farsi volere bene” dalla gente, accantonare i sentimenti per lasciare un’impronta indelebile nella storia ma non nella propria ma in quella di tutti noi.
Quindi, in definitiva, Steve Jobs è un film di dietro le quinte che merita d’esser visto, un film che apparirà agli occhi dello spettatore come impegnativo e pieno di suspance.
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