Sono passate ormai sei settimane da quando è stato rapito in Siria il giornalista americano James Foley che lavorava per France Presse e per il GlobalPost. L’uomo è ora dato per disperso: era stato rapito lo scorso 22 novembre a Taftanaz, nella regione nord ovest della Siria, nella provincia di Idlib, da quattro uomini armati non identificati e sono ormai passate sei settimane senza che se ne sia saputo più nulla.
I suoi familiari hanno lanciato solo oggi una campagna pubblica aprendo un sito internet per diffondere la notizia e riportare James Foley a casa: lo scopo è quello di muovere l’opinione pubblica internazionale, dopo il silenzio stampa che aveva seguito il suo rapimento. Oggi si è venuti a sapere che con Foley viaggiava anche un altro giornalista di cui è stata mantenuta segreta l’identità. I quattro uomini avevano rapito anche l’autista e l’interprete, lasciandoli poi liberi in un secondo momento.
James Foley, giornalista americano freelance, rapito in Siria sei settimane faStando a quanto riferisce il GlobalPost, un sito web al quale Foley aveva lavorato, il giornalista 39enne freelance è stato catturato mentre si stava dirigendo verso il confine con la Turchia. Nessun gruppo per ora ha rivendicato il suo rapimento e questo aggrava la situazione perché di James Foley non si hanno proprio più avuto notizie. Non sono dunque nemmeno note le ragioni del suo rapimento: non è chiaro se ci siano sotto motivi di denaro, o se i rapitori siano legati a gruppi estremisti islamici, o facciano parte delle forze lealiste del regime di Assad.
Foley è sicuramente un giornalista esperto, dal momento che ha lavorato in Siria collaborando con l’AFP, ma anche in Afghanistan e in Libia, dove venne catturato dalle forze governative nell’aprile del 2011 e rilasciato dopo 44 giorni: purtroppo, si sa, fare il giornalista in alcuni Paesi è un mestiere difficile e pericoloso.
Nella stessa area in cui Foley è stato rapito in Siria, era stato prelevato poco prima di Natale anche Richard Engel, corrispondente della Nbc, ma era poi stato rilasciato insieme a 3 suoi colleghi dopo uno scontro a fuoco avvenuto tra i sequestratori, tutti affiliati al regime di Bashar al-Assad, in un check point dell’opposizione ribelle.
I combattimenti della guerra civile tra lealisti ed opposizione intanto non hanno tregua: proprio oggi un raid aereo condotto dall’esercito siriano sul quartiere di al-Maliha, a sud est di Damascom ha causato almeno quaranta vittime. Sono stati gli attivisti ribelli dell’opposizione a denunciare il raid attraverso l’emittente al-Jazeera. Secondo i testimoni il bombardamento aereo aveva come obiettivo un gruppo di auto civili in sosta nei pressi di una stazione di benzina sulla strada che collega Mliha e Zibdin, entrambi sobborghi a est di Damasco. Tra le vittime compaiono anche numerosi bambini: molti corpi sono irriconoscibili perché carbonizzati o intrappolati a brandelli tra le lamiere di quelle che erano automobili.
Numerosi raid aerei sono stati condotti in tutta l’area di Damasco dagli aerei dell’aviazione lealista di Bashar al-Assad
Anche l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ONG vicina all’opposizione e con base a Londra, aveva riportato un’altra notizia tragica: un ennesimo raid aereo condotto dalle forze lealiste di Assad sulla città di Moadamiyet al-Sham, a sud ovest di Damasco ha causato la morte di un’intera famiglia composta da più di 12 persone.
Anche le città di Shebaa e Deir Assafir, rispettivamente a sud est ed a sud di Damasco, sono state bombardate da aerei dell’aviazione dell’esercito siriano lealista. A novembre in questa stessa zona, stando a quanto riferisce Human Rights Watch, erano già stati uccisi undici bambini a causa del lancio di bombe a grappolo su un campo di calcio.
Insomma, secondo la stima riportata dalle Nazioni Unite, pare che siano almeno 60mila le persone morte in Siria dall’inizio della guerra civile: la cifra è stata resa nota da Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i diritti umani. L’Organizzazione ha curato un rapporto esaustivo in cui si può leggere che le vittime del conflitto siriano dal 15 marzo 2011 al 30 novembre 2012 sono state 59,648. Navi Pillay ha inoltre commentato così il rapporto: “Non essendosi fermato il conflitto dalla fine di novembre 2012, possiamo desumere che agli inizi del 2013 i morti abbiano superato quota 60mila. È un numero scioccante”. Sembrano molte di più le vittime calcolate dall’ONU rispetto a quelle riportate dall’Osservatorio siriano dei diritti umani che ne stima circa 46mila. D’altra parte, però, è difficile mettere in discussione la stima fatta dalle Nazioni Unite dal momento che è stata condotta da Benetech, un’organizzazione con sede in America e con una grande esperienza nell’analisi statistica dei sati relativi alle violazioni dei diritti umani. Lo studio statistico condotto mostra, inoltre, un aumento del numero de decessi ogni mese.
Purtroppo la situazione siriana sembra molto lontana da qualsiasi risoluzione e la guerra civile non fa che autoalimentarsi provocando sempre più morti.
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