Delegati di oltre 190 nazioni si sono riuniti oggi a Doha, in Qatar, per prender parte alla 18esima Conferenza delle Parti sulla Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici dell’ONU.
Doha, Decisioni Importanti per il Futuro dell’Ambiente.
Ognuna delle conferenze tenutesi negli ultimi anni sullo stesso argomento si è poi conclusa con sostanziali delusioni per tutti quelli che si aspettavano cambiamenti sostanziali nella lotta contro il riscaldamento globale. Speriamo che questa sia invece la volta buona perché vengano prese decisioni concrete e mezzi per farle rispettare: cruciale sarà, da questo punto di vista, il summit tra ministri che si terrà tra il 4 ed il 7 dicembre all’interno della conferenza a Doha.
Da notare è la scelta del luogo dove si tiene la conferenza: non New York, non Londra, non Roma, ma Doha, in Qatar. Cosa mostra questa scelta? Si tratta di un evidente segnale di come la geografia economica si stia spostando e di come ormai le potenze politiche, militari ed economiche non coincidano più. Questo cambiamento era già stato notato grazie ai round di incontri del WTO tenutosi storicamente prima in America, poi in Giappone, in Uruguay, ed infine proprio a Doha, a dimostrazione della sempre maggior importanza di quest’area.
Perché così tante aspettative da questa conferenza? Perché il 31 dicembre 2012 si conclude il periodo di validità del Protocollo di Kyoto, sottoscritto in Giappone l’11 dicembre 1997 ed entrato in vigore nel 2005, e servono dunque nuovi obiettivi ed accordi in materia di risorse, sviluppo sostenibile e regolamentazione ambientale.
Questo era già l’obiettivo della conferenza tenutasi l’anno scorso a Durban, che si concluse però con un semplice impegno a negoziare “un protocollo, un altro strumento giuridico o un accordo legalmente vincolante” entro il 2015, che entrasse in vigore entro il 2020.
Si spera di trovare un nuovo accordo globale durante la conferenza di Doha, ma non si sa ancora se il nuovo accordo coprirà un arco temporale di 5 o 8 anni. Come sempre, lo scopo finale sarà quello di trovare un modo di evitare che la temperatura globale si scaldi oltre i 2°C, soglia irreversibile dopo la quale si prevedono cambiamenti di portata drastica.
I filoni in cui si articola il lavoro sono 4: mitigazione (riduzione delle emissioni), adattamento (capacità di adattarsi e rendere minimi cambiamenti ormai inevitabili), tecnologia (cercare alternative credibili ai carburanti fossili ed aiutare i Paesi in Via di Sviluppo a migliorare le loro tecnologie), finanziamenti (soprattutto intesi come sussidi dai Paesi più ricchi a quelli più poveri).
Il problema maggiore, che era stato un punto critico già ai tempi del Protocollo di Kyoto, riguarda l’incognita su chi aderirà al nuovo programma. Il protocollo di Kyoto prevedeva la sua stessa entrata in vigore solo dopo la sottoscrizione di almeno 55 Paesi responsabili di almeno il 55% delle emissioni mondiali di CO2: quando né gli Stati Uniti né la Russia ratificarono l’accordo, questo non entrò in vigore. Solo in un secondo momento la Russia cambiò idea e ratificò il protocollo, permettendone così l’entrata in vigore.
Oggi si pone il problema dei BRIC: l’acronimo è usato per indicare Brasile, Russia, India e Cina, Paesi in rapida crescita economica. A Kyoto non era stata chiesta la loro ratifica perché si sapeva che, essendo economie in crescita, una spesa maggiore per tutelare l’ambiente avrebbe comportato un rallentamento della crescita economica. Oggi, però, queste nazioni sono nella top ten dei maggiori produttori di emissione di CO2 per cui sarebbe utile che l’accordo venisse ratificato anche da loro, in modo che questo possa produrre effetti concreti a livello ambientale. Ciò nonostante, sia i Paesi BRIC che il Sud Africa hanno già reso nota la loro opinione per cui dovrebbero essere i Paesi più ricchi ad effettuare la maggior parte delle spese e non quelli in via di sviluppo, perché rischierebbero di avere una battuta d’arresto non prevista alla crescita economica.
Staremo dunque a vedere quali saranno i nuovi obiettivi proposti in materia di sviluppo e tutela ambientale e soprattutto quanto i Paesi saranno disposti a sacrificare le loro economie per il bene del Pianeta.
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