La produzione industriale a marzo è ancora in calo, dello 0,3% su febbraio. Il differenziale rispetto all’aprile 2008 (precrisi) è addirittura del -24,3%. Questi sono i dati che il Centro Studi della Confindustria ha pubblicato ieri. Niente sembra porre argine al declino dell’ottava potenza industriale, ammesso che l’Italia abbia mantenuto questa collocazione nella graduatoria dei PIL. Ricordiamoci per altro che appena nel 2007 il nostro Paese occupava la quinta posizione. Oggi siamo alla pari dell’India (a parte le ultime vicende giudiziarie-diplomatiche). Ma mentre quest’ultima è in costante e rapido sviluppo noi proseguiamo inesorabilmente nella scesa.
Non sono facilmente interpretabili i dati per capire se la crisi sta frenando oppure se il 2013 sarà anch’esso un anno maledetto. Nel primo trimestre del 2013 infatti il centro studi stima una flessione della produzione di -0,2% sul quarto trimestre 2012, che a sua volta aveva fatto segnare un -2,2% sul terzo trimestre.
Certo è che non tutti i settori vanno male. Le aziende fortemente orientate all’esportazione stanno facendo la loro parte e in taluni casi conquistano posizioni.
Quanto della situazione industriale sia dovuta alla scarsa liquidità del sistema e quanto invece a difetti strutturali è difficile dirlo, certamente le due cause si sommano lasciando interdetti gli imprenditori per primi.
Allora, nonostante siamo ancora in alto mare per quanto riguarda un’azione incisiva di governo, il ripensamento del nostro sistema produttivo deve essere avviato al più presto. La mission della nostra nazione nel gioco dei mercati internazionali deve chiarirsi sia a livello aggregato che a livello di singole unità produttive. Di più: a livello di singoli.
Occorre proprio in questa fase che l’ingegno e la creatività degli italiani siano applicati alle sfide produttive internazionali. Esportazione e attrazione di capitali, queste sono le mosse per risollevare i consumi interni.
Ma ancor di più la “mano” della manifattura italiana deve connotarsi, essere riconoscibile. Ed è possibile se avviciniamo il concetto del produrre al concetto dell’essere e, quindi, di produrre in una certa maniera, in un modo irripetibile.
I prodotti di questo tipo, sono i prodotti che “tirano”.
L’Italia piace, il nostro modo di concepire la vita è invidiato. Le cose che creiamo quando sono “tipiche” sono amate. Così pure, la tecnologia non è neutra. La tecnologia serve ma serve per qualcosa; ecco è quel qualcosa che ci deve rendere unici anche nella tecnologia e nella ricerca.
Purtroppo chi non ha capito tutto questo siamo proprio noi! Tanto meno chi ci governa, o almeno chi ci ha governato fino ad oggi. Non si è ancora capito che gli imprenditori sono una risorsa e non un problema, salvo eccezioni. Lo stato italiano non ha coraggio di sciogliere le briglie affinché le energie si rincuorino e agiscano. Semplificazione drastica, abbattimento della pressione fiscale, politica industriale avanzata, aumento della liquidità: quando i partiti affronteranno senza timidezze questi problemi?
Gli imprenditori italiani, non tutti ma abbastanza, dal canto loro devono smetterla di pensare che fare impresa voglia dire fare facile speculazione. Produrre è qualcosa di assai più complesso, ma anche di più gratificante, dove il guadagno è meno facile, ma sicuramente di maggior soddisfazione.
Le sacche di resistenza sono talmente tante e deleterie che purtroppo appare prevedibile un’attività di governo (qualunque esso sia nei prossimi giorni) spenta, rivolta a recuperare quattrini da un Paese esausto.
Solo chi riuscirà a comprendere nel profondo queste necessità e proporrà di agire con prontezza, in profondità e con intelligenza sul versante economico e sociale, meriterà di essere sostenuto e…votato.
Articolo a Cura di: Giorgio Angelo Lazzarini
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