Secondo un’indagine è emersa una discrepanza tra i dati dichiarati sulle cartelle cliniche e quelli riportati sulle schede di dimissioni ospedaliere. Si pensa anche ad ipotesi di truffa ai danni del sistema nazionale sanitario
Il parto cesareo dovrebbe essere un’operazione da effettuare in situazioni di necessità, qualora vi siano complicanze che non permettano alla madre di far nascere il bambino in modo naturale. In Italia invece vi è un abuso di questa tecnica, decisamente al di sopra della media nazionale. Il taglio cesareo si effettua quando il feto è in posizione anomala, una condizione che, in media, si verifica l’8% delle volte. Eppure, i dati italiani, secondo il ministero della Salute che ha effettuato lo studio, sono discordanti e raggiungerebbero una stima oscillante tra il 20% e il 50%, percentuali in netto contrasto con questa condizione al parto. Una verifica ha permesso di scoprire che il 43% delle cartelle cliniche esaminate presenta false corrispondenze con le informazioni riportate nelle schede di dimissione ospedaliere.
Il problema non sarebbe solo per la salute delle donne, dato che il cesareo resta comunque un’operazione chirurgica, ma sarebbe un danno anche per l’economia. Il ministro della salute Renato Balduzzi, ha infatti sottolineato come il costo di queste operazioni oscillerebbe tra gli 80 e gli 85 milioni di euro, un costo non necessario dato la mancanza di necessità della pratica. Nasce quindi il sospetto che quella dei parti cesarei sia una utilizzazione opportunistica, non basata su condizioni cliniche reali. Proprio per queste ipotesi di reato è intervenuto il comandante generale dei Carabinieri Nas, Cosimo Piccinno, che dichiarato che queste ipotesi, che saranno oggetto di indagine da parte della magistratura, vadano dalle lesioni personali alla truffa ai danni del sistema sanitario nazionale.
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