Nel piccolo villaggio di Hyderabad, vicino a Seeta, nella provincia meridionale di Sindh, in Pakistan, un uomo è stato bruciato vivo da una folla scatenata poiché era sospettato di aver dato fuoco ad una copia del Corano.
L’uomo era uno straniero e pare che fosse solo di passaggio a Seeta, dove aveva trascorso la notte del 20 dicembre in una moschea. La mattina seguente alcuni fedeli, tra cui uomo di nome Maulvi Memon, recatesi in Moschea per pregare, hanno trovato le ceneri di lacune pagine del Corano che erano state bruciate e, pertanto, hanno immediatamente consegnato l’uomo alla polizia di Rajo Dero, accusandolo di blasfemia. Usman Memon, l’Imam del villaggio, aveva infatti dato la sua opinione sull’evidente colpevolezza dell’uomo al quotidiano “Sindh Express” perché “nella moschea era da solo, e dunque non c’era nessun altro che avrebbe potuto fare una cosa così terribile”.
Una folla inferocita di circa 200 persone ha però fatto irruzione nel commissariato di polizia dove l’uomo era in stato di fermo, portando via l’uomo a cui poi è stato dato fuoco, davanti agli sguardi impotenti degli agenti. Lo scopo della folla era quello di farsi giustizia da sé. Ghualm Mustafa Tunio, capo della polizia locale, ha infatti dichiarato che c’erano più di 200 persone contro meno di dieci poliziotti.
L’uomo, per il gesto compiuto, è stato sottoposto ad una delle massime pene previste, poiché la legge locale prevede la morte per blasfemia: è stato picchiato e bruciato vivo, per la legge del taglione. Trenta persone sono state arrestate per aver ucciso l’uomo bruciandolo vivo, con l’accusa di omicidio e resistenza a pubblico ufficiale (secondo gli artt. 302 e 353 del Codice penale pakistano), mentre anche 7 agenti sono sottoposti a custodia per negligenza, poiché non si sono dati da fare per difendere l’uomo dalla folla. I media hanno definito la vittima come “mentalmente instabile” poiché nessun musulmano potrebbe pensare ad un gesto più grave che bruciare il Corano, figuriamoci poi farlo all’interno di una moschea.
Questo almeno è quanto è emerso dalle prime indagini che non sono ancora riuscite ad identificare la vittima, né a ricostruire interamente la vicenda, né a verificare l’effettiva colpevolezza dell’uomo. L’unica cosa certa è che le leggi sulla blasfemia, introdotte nel 1986 dal generale Zia-ul-haq su richiesta degli estremisti islamici, hanno fin’ora provocato l’incriminazione di più di 1000 persone e la morte di circa 60, quasi tutte uccise dalla folla in omicidi extra-giudiziali. Anche i cristiani sono spesso stati vittime di queste ingiuste ed estreme leggi.
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