“L’anno prossimo sarà un anno in ripresa”.
Lo speriamo caldamente perché il paese è allo stremo, colpa di politiche sbagliate in passato e di premier incapaci, ma anche di un sistema economico e lavorativo che era sull’orlo del collasso e che la crisi economica ha stimolato negativamente. Meno male sono arrivate delle riforme strutturali, tra l’altro con molta fatica, che hanno migliorato i conti pubblici nella speranza, stavolta concreta di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Tutto ciò è importante non perché ce lo chiede l’Europa ma perché il nostro paese ha bisogno di essere più flessibile e più attivo, per stare al passo con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e i paesi in costante crescita, come il Brasile, l’India e la Cina. Adesso però è il momento della crescita, dopo le “lacrime e sangue”, in senso stretto, chieste agli italiani, deve tornare a splendere il sole, l’imprenditoria deve tornare a produrre, devono aumentare le esportazioni e le decisioni, a livello delle aziende, devono essere preso di concerto tra operai e classe dirigente, ci devono essere meno diseguaglianze e meno privilegi e soprattutto avere la speranza di poter tornare a lavorare per le centinaia di giovani e non, che sono a spasso tra lavori sottopagati, stage gratuiti e licenziamenti facili. Tutto ciò non significa difendere il sindacato ma attualizzarlo, la grande sfida del 2013 è la protezione del lavoro e non della persona, non si possono avere due categorie, una superprotetta e una che non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena.
Articolo a Cura di Lorenzo Magnanenzi
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