“Stiamo vincendo questa battaglia”.
Il presidente francese Francois Hollande sceglie queste parole per annunciare la notizia della liberazione della città di Timbuctu, da parte delle truppe francesi e maliane.
Nella splendida città a nord del Mali, gli abitanti sono percorsi da un incontenibile entusiasmo e al grido di “Vive le Mali! Vive la France!” accolgono i soldati giunti a liberare la città simbolo della cultura africana, occupata dai combattenti del gruppo jihadista Ansar Dine (letteralmente “difensori dell’islam”), nell’aprile 2012.
Da allora, infatti, sulla “Perla del deserto”, appellativo con cui è meglio conosciuta la città famosa per le antiche moschee e i codici medievali, venne issata la bandiera nera dei militanti dell’Aqmi, la sigla che indica gli affiliati di Al Qaeda nel Maghereb isalmico.
La presa della città fu segnata da una serie di azioni distruttive e drammatiche, commesse sotto gli occhi della popolazione, che impotente assisteva alla distruzione di sette dei sedici mausolei dei santi musulmani e allo sfondamento della porta della moschea di Sidi Yahya, che la tradizione vorrebbe chiusa.
Immagini terribili che in pochissimo tempo fecero il giro del mondo, generando orrore e indignazione.
Con la stessa ferocia i fondamentalisti di Ansar Dine estinsero ogni flebile tentativo di ribellione da parte della popolazione locale. Ad eccezione dei pochi fortunati riusciti a fuggire dalla città, chi è rimasto è stato costretto a sottostare ai vincoli imposti dalla loro interpretazione della sharia, che prevede pene corporali, come amputazioni, lapidazioni e fustigazioni.
Era facile infatti vedersi amputato un arto per il solo presunto furto di bestiame: Amnesty International ha denunciato esecuzioni pubbliche (fustigazioni e lapidazioni) in seguito a giudizi sommari.
I guerriglieri di Ansar Dine appartengono ad una delle correnti più violente dell’islam, quella del salafismo, che considera l’idolatria un reato che viola la sharia.
Secondo loro i sufisti del Mali, la corrente invece più mistica dell’islam, si macchierebbero dell’orribile crimine di violare la legge coranica, con la costruzione di enormi mausolei.
Sebbene essi abbiamo usato la carta della religione per difendere le distruzioni commesse nella città – dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità – è chiaro come un simile gesto volesse invece irretire l’attenzione dei media e riportare il gruppo terrorista al centro dell’agenda internazionale. Uno “stile” che recupera quello usato dai talebani, nel marzo del 2001, quando distrussero le due enormi statue del Buddha scolpite nella roccia del Bamiyan in Afghanistan.
Articolo a Cura di Antonella Tauro
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