Taranto è una delle città più importanti d’Europa, sebbene molti ignorino questa realtà. Il suo esser indispensabile deriva dall’ILVA , azienda siderurgica di proprietà del Gruppo Riva. Nata come Italsider nei primissimi anni sessanta, la fabbrica a ciclo integrale rappresentò una lotta non indifferente alla disoccupazione. Attualmente, sono difatti impiegati oltre diecimila operai al suo interno, senza considerare l’indotto. Nell’infuoca estate del 2012, Taranto è balzata al centro del loop mediatico italiano, che ha descritto la spada di Damocle che pende sulla testa dei tarantini: una scelta tra il lavoro e la salute. Negli ultimi decenni è stato infatti provato che questa fabbrica a ciclo integrale ha deturpato in modo quasi irreparabile non solo l’ambiente ma anche la salute degli abitanti, in particolar modo di coloro i quali risiedono nel quartiere Tamburi, situato alle porte dell’ILVA. Diossina, benzopirene, mercurio, berillio e polveri minerali sono gli ingredienti della ricetta tossica che ogni giorno i tarantini sono costretti a respirare, ricetta che conduce ad un innalzamento preoccupante della percentuale tumorale nel capoluogo pugliese. Il 2012 si è posto come anno deciso nella storia della “molle Tarentum”: le principali rivolte sono iniziate proprio nel luglio del corrente anno, dopo la decisione della magistratura di sequestrare gli impianti. Le rivolte gridano al pane e alla salute, che in questa città sembrano essere sempre più difficilmente conciliabili. I tarantini sono divisi tra due degli aspetti più importanti nella vita di un uomo: a chi dice che la salute va salvaguardata innanzitutto, si contrappone la marea di operai che teme la disoccupazione, minaccia aggrava anche dall’odierna crisi economica. La chiusura dell’Ilva nell’immediato è qualcosa che non può verificarsi al momento: non solo perché, trattandosi di una fabbrica a ciclo integrale, la sua sospensione subitanea desterebbe problematiche tecniche non indifferenti, ma anche perché l’impianto siderurgico in questione è indispensabile all’economia italiana. Al tempo stesso, il mantenimento della produzione senza cambiamenti condurrebbe ad un definitivo collasso ambientale e della salute degli abitanti. La lotta sembra non essersi conclusa, tra i vari rimbalzi tra il gruppo Riva, presidiato da Fabio Riva, figlio del più conosciuto Emilio, e la magistratura, che lotta per la chiusura immediata degli arresti. Resta solo da sperare che si agisca finalmente nell’interesse della città.
Articolo a Cura di Adele Lerario
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