Il redditometro viola la privacy, un giudice lo boccia. Secondo Antonio Lepre, infatti, lo strumento del fisco invaderebbe la privacy del cittadino privandolo della libertà di poter gestire il proprio denaro.
Una dolce vittoria per i detrattori del nuovo strumento di controllo fiscale presentato il 4 gennaio 2013 e già finito sulla graticola tra il fuoco incrociato di cittadini inviperiti, associazioni sul piede di guerra ed ora, della magistratura che lo boccia senza appello.
Il giudice Antonio Lepre boccia, quindi il redditometro perchè porta alla “soppressione del diritto del contribuente e della sua famiglia ad avere una vita privata, a poter gestire il proprio denaro” e non lascia libero il cittadino “su aspetti delicatissimi della propria vita privata quali la spesa farmaceutica, l’educazione e il mantenimento della prole, la vita sessuale”.
La sentenza ordina, inoltre, all’Agenzia delle Entrate di non “intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza o di utilizzo dei dati” ma non solo, nell’ordinanza, il giudice rincara la dose ordinando di “cessarla se iniziata” e di “distruggere tutti i relativi archivi” se già avviati o presenti.
Il ricorso era stato presentato da un pensionato napoletano che, assistito dall’avvocato Roberto Buonanno, lamentava l‘invasione della propria privacy, nell’ordine delle spese più intime del cittadino tanto da arrivare a conoscere degli aspetti troppo personali e delicati della vita di una persona.
La bocciatura da parte del giudice Lepre è molto severa in quanto “non fa alcuna differenziazione tra ‘cluster’ di contribuenti” e, “del tutto autonomamente, opera una differenziazione di tipologie familiari suddivise per cinque aree geografiche“. Il redditometro, infatti, nel dispositivo accomunerebbe “situazione territoriali differenti in quanto altro è la grande metropoli altro è il piccolo centro e altro ancora è vivere in questo o quel quartiere”.
Non è tutto; nel dispositivo, il giudice continua osservando che all’interno “della medesima Regione e, anzi, della medesima Provincia vi sono fortissime oscillazioni del costo concreto della vita, così come altrettanto forti oscillazioni vi possono essere all’interno di un’area metropolitana”. Così i “contribuenti delle zone più disagiate perderanno anche, per così dire, il vantaggio di poter usufruire di un costo della vita inferiore in quanto gli sarà imputato in ogni caso il valore medio Istat delle spese“.
Il cittadino dovrebbe quindi essere “libero nelle proprie determinazioni senza dover essere dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell’utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata”.
L’avvocato Buonanno si ritiene soddisfatto della sentenza ottenuta in quanto, dichiara, che “la visibilità totale delle attività e dei comportamenti di tutti i cittadini”, osserva “non è il simbolo di una società aperta e liberale. L’azione della pubblica amministrazione deve essere proporzionata ai fini dell’interesse pubblico che essa persegue”.
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