Barack Obama ha recentemente giurato per il secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti, Paul Krugman ha stilato un bilancio del primo mandato appena concluso che si è chiuso in netto guadagno.
Dalle colonne del New York Times l’economista Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008, ci racconta dei primi quattro anni di Obama alla casa Bianca, passando dal new deal di Roosvelt a quello che chiama il big deal di Obama.
La firma sull’Affordable care act che ha sancito ufficialmente l’entrata in vigore della riforma sanitaria tanto voluta dal Presidente, è stata presa con grandissimo entusiasmo perfino dal vicepresidente Joe Biden che ha usato un termine molto pittoresco (a big fucking deal), per sottolineare il momento di svolta per gli USA. Secondo Krugman, sonoi tre i punti più interessanti del programma di Obama: assistenza sanitaria, disuguaglianze e riforma del settore finanziario.
La riforma del sistema sanitario è la colonna portante del big deal secondo il premio Nobel, perchè Obama è riuscito ad introdurre una forma di assistenza sanitaria universale cosa che i progressisti, tentavano di fare dai tempi di Truman. Alcuni sostenitori del Presidente hanno storto il naso davanti ad un complesso sistema di regole e sovvenzioni, più costoso rispetto ad un programma di sanità pubblica e con più lacune, invece che all’estensione totale del molto amato programma Medicare ma, allo stato delle cose, era l’unica via percorribile vista la forza delle assicurazioni sanitarie private nel sistema statunitense ed alle resistenze degli elettori già assicurati.
Paul KrugmanDal punto di vista delle disuguaglianze, il big deal di Obama segna il passo rispetto al new deal roosveltiano. Quest’ultimo, infatti, ebbe un impatto rivoluzionario dando più forza ai lavoratori e creando un ceto medio durato oltre quanrant’anni; Obama, dal canto suo, non ha risolto il problema delle disuguaglianze come ci si sarebbe voluto limitandosi ad una marginale redistribuzione di ricchezze. Entrambi i presidenti, secondo Krugman, si sono insediati in un momento molto compelsso dove le disparità di reddito e ricchezza nella società, erano e sono tutt’ora, enormi ma non bisogna dimenticare che il nuovo sistema sanitario, verrà finanziato con nuove applicate all’1% della popolazione più ricca e sarà un sostanziale aiuto per la metà della popolazione più povera, e quindi in difficoltà.
A differenza dei precedenti governi Bush ed ancor prima dagli anni ottanta, che hanno concesso ai ricchi americani di diventare sempre più ricchi, Obama ha invertito la tendenza, anche se minimamente, riducendo il reddito dell’1% più ricco di circa il 6% mentre, per lo 0,1% dei più ricchi, in cima alla scala sociale, il reddito diminuirà del 9%, tutte misure che andranno ad aiutare gli strati della popolazione più deboli e a ridurre il l’enorme debito pubblico statunitense scongiurando il fiscal cliff – il baratro fiscale – in agguato alla fine del 2012 e nuovamente pronto a sconvolgere l’agenda dei politici americani a fine febbraio 2013.
Krugman procede con l’analisi del terzo punto: la riforma del settore finanziario. La legge Dodd-Frank è stata giudicata, spesso, un’arma spuntata ma a giudicare dalla rabbia che ha generato tra gli addetti ai lavori, non andrebbe giudicata così severamente. E’ importante a questo punto ricordare che il settore finanziario, fuori da ogni controllo, ha messo in ginocchio l’intera economia mondiale e che, un cambiamento drastico, avrebbe potuto avere dei contraccolpi ben peggiori di quanto non fossero i problemi che si tentava di risolvere. Analizzando i flussi di denaro per la campagna elettorale, Krugman sottolinea come, Wall Street ed i suoi plutocrati, mettano i soldi dove più gli conviene: nel 2008 gli Hedge found appoggiarono fortemente Obama mentre, alle elezioni del 2012, hanno dato oltre il 75% del loro denaro ai repubblicani finendo, comunque, per perdere le elezioni.
Dopo la rielezione di George W. Bush, gli analisti prevedevano l’apertura di un ciclo conservatore molto lungo ma vennero smentiti dalle elezioni del 2008. Sarà una vittoria effimera anche per Obama? Secondo Krugman no, semplicemente perchè, a differenza di Bush, le misure principali del big deal sono già legge e la loro popolarità non potrà che aumentare man mano che entreranno a regime e la popolazione potrà apprezzarne i vantaggi concreti.
Manca un ultimo tassello da prendere in cosiderazione: la demografia statunitense sta gonfiando le vele dei progressisti; per anni i repubblicani si sono presentati come i paladini della purezza strumentalizzando le divisioni sociali e razziali. Questa strategia secondo il premio Nobel, si è ritorta contro la destra quando gli Stati Uniti sono diventati un paese più vario e più aperto alle tematiche sociali.
In conclusione per Krugman i vantaggi dell’amministrazione Obama saranno apprezzati con il tempo e formeranno una base di diritti che verranno considerati imprescindibili. I progressisti possono quindi tirare un respiro di sollievo ed allentare l’ansia da rielezione, godendosi questo momento ma non dovranno mai abbassare la guardia; i falchi del deficit sono ancora attivissimi e stanno cercando di convincere Obama a tagliare le spese sociali con ogni mezzo, appoggiati da un settore finanziario con enormi capacità economiche in grado di influenzare pesantemente, un sistema politico condizionato dal denaro.
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