È successo a Palermo: un tumore al colon viene scambiato per uno alle ovaie, per cui la cura di chemioterapia è stata applicata all’organo sbagliato.
È morta così, Maria Di Benedetto, una maestra elementare palermitana di 48 anni,sposata e madre di 4 figli di età tra i 4 e i 15 anni.
L’errore è stato compiuto al Policlinico di Palermo e pare che sia dovuto ad una lettura sbagliata di un vetrino avvenuta dopo che alla donna erano stati asportati utero, ovaie e retto anteriore. All’intervento seguì un forte ciclo di chemioterapia, ma non sul vero tumore (al colon) che fu diagnosticato solo successivamente.
Purtroppo i medici si sono accorti dell’errore solo lo scorso gennaio, a ormai due anni dall’inizio dell’effettiva malattia che non stavano curando. Il cambio di terapia è cominciato troppo tardi e la donna è morta la settimana scorsa.
Ora però è partita l’inchiesta da parte della procura di Palermo, condotta dal pm Claudio de Lazzaro e coordinata dall’aggiunto Maurizio Scalia. L’indagato è l’anatomopatologo del policlinico di Palermo, Vito Rodolico. Sarebbe infatti stato lui a compiere l’errore di lettura dei vetrini dell’esame istologico e a dichiarare la diagnosi di tumore alle ovaie. L’indagine, inizialmente nata dalla denuncia del marito della vittima, Salvo Lo Coco, di 42 anni, con la sola accusa di lesioni gravissime, comprende ora anche il reato di omicidio colposo. Il neo assessore regionale per la Salute, Lucia Borsellino, d’intesa con il ministero della Salute, ha subito ordinato un’ispezione al Policlinico per acquisire tutta la documentazione relativa al decesso della donna. Gli ispettori dell’assessorato dovranno verificare quanto accaduto e accertare se ci sono state eventuali responsabilità o carenze organizzative.
Ecco le dichiarazioni del marito: “Ho visto mia moglie spegnersi piano piano. I miei bambini dicevano che sembrava una reduce dei campi di concentramento: senza capelli, pesava 40 chili”. E ancora racconta: “Siamo andati dappertutto e nessuno capiva. Fino a quando al Gemelli (Ospedale Policlinico di Roma) non hanno voluto vedere i ‘vetrini’, unico modo per comprendere come mai mia moglie non migliorasse, nonostante la chemio che la distruggeva”.
Purtroppo, però, la scoperta non ha consentito di salvare la vita della donna.
Appare paradossale che nel 2012, con tutte le tecnologie di cui siamo dotati in campo medico, si commettano ancora questi errori. Tra l’altro, sempre al Policlinico di Palermo, l’anno scorso, una giovane donna di 34 anni, Valeria Lembo, rimase vittima di una dose eccessiva di medicinale chemioterapico: invece di somministrarle 9 unità di farmaco, il numero si trasformò in 90, rendendo l’iniezione fatale per la donna.
Ora, non sarebbe il caso di fare qualche accertamento non solo ai pazienti, ma anche al personale del Policlinico di Palermo?
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