Dolce & Gabbana, un nome del made in Italy,due nomi, una firma e una presunta storia di evasione fiscale europea
Dolce & Gabbana: Storia vecchia di una presunta maxi-evasione fiscale per Domenico Dolce e Stefano Gabbana e un nuovo processo apertosi ai primi di dicembre.
Dopo un primo processo nel quale erano stati inizialmente condannati, poi assolti, quindi un nuovo appello, la Cassazione e ora… un nuovo processo
La Cassazione aveva fatto cadere il primo reato ma non il secondo, da qui il nuovo processo agli inizi di dicembre contro Dolce & Gabbana accusati di non aver pagato le tasse sulle royalties per un totale di circa 1 miliardo di euro..
Aperto a Milano il 3 dicembre questo nuovo processo a Dolce & Gabbana per evasione fiscale era stato subito rinviato poiché gli avvocati dei due stilisti avevano chiesto l’annullamento per irregolarità di notifica.
Oggi 14 dicembre, la giudice Antonella Brambilla ha respinto la domanda di annullamento, fissando la prossima udienza il 30 gennaio.
Proprietari del marchio
Domenico Dolce e Stefano Gabbana erano all’inizio personalmente proprietari del loro marchio, ricevendo direttamente le royalties su tutti i loro articoli venduti nel mondo e pagandovi sopra in Italia il 45% di tasse.
Nel 2004 e 2005 il nome “Dolce e Gabbana” e le iniziali “D&G”furono vendute a una società del Lussemburgo, paese in cui le royalties, subiscono una tassazione del 4%. I magistrati italiani accusano Dolce & Gabbana di un montaggio con una società schermo la Gado, (acronimo dei loro nomi) per “risparmiare” e ridurre la tassazione.
La Gado che controllava le griffe del gruppo era in realtà gestita dall’Italia e riversava ai due stilisti 54 milioni l’anno.
Dolce & Gabbana hanno sistematicamente respinto le accuse contro di loro.
Certo che in periodo di crisi, di austerità come quella che scuote i destini italiani in questo momento con tassazioni varie e IMU in scadenza, il termine tasse colpisce con maggiore violenza e fa volare la fantasia, più forte e più lontano della creatività dei due stilisti.
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