Cina, Reality: condannati a morte “dead men talking”, 40 milioni i telespettatori
Non so se a voi sconvolgerà, fatto sta che, questa notizia che apprendiamo via ANSA, mi ha veramente “scombussolato”. Ma a che punto può spingersi il “cinismo” umano?
Poco più di un anno fa, avevo visto un film, che parlava di “Record al primo ascolto” e trattava proprio del cinismo umano e di come un programma con “la morte in diretta” potesse provocare un record di ascolti e quindi, di conseguenza “oliare” la macchina del business.
Ma qui, non siamo in un film ma nella realtà, in Cina c’è un programma televisivo dal titolo: “dead men talking” che solo dal nome, non lascia dubbi sui contenuti.
Persone di tutti i tipi, molti dei quali piangono, una giovane donna si butta in ginocchio e chiama la mamma, ed altro ancora.
Un uomo sulla trentina guarda dritto nella telecamera e dice: “ora vado”, mentre due poliziotti lo prendono per le braccia e lo portano verso il luogo dell’ esecuzione. Sono i condannati a morte cinesi che parlano con la giornalista Ding Yu, della televisione dell’ Henan (Cina centrale) per il programma “Interviste prima dell’ esecuzione”, che va in onda il sabato, in prima serata, dal 2006, e che ha avuto fino a 40 milioni di spettatori.
Guardando e ascoltando alcune delle interviste risulta difficile spiegarsi come Ding abbia ottenuto la collaborazione delle autorità provinciali per realizzare questo “reality” agghiacciante, nel quale i condannati vengono intervistati a distanza di poche ore, in alcuni casi di pochi minuti, dall’ esecuzione.
Secondo la rete televisiva americana Abc il programma, che va in onda dal 2006, sarebbe stato sospeso a partire da questa settimana.
La notizia non è stata confermata né smentita dalla televisione dell’ Henan. La britannica Bbc ha annunciato che lunedì prossimo manderà in onda un documentario sul programma, allarmando probabilmente le autorità.
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Sembra che il programma sia stato autorizzato perché le autorità hanno ritenuto che “Interviste prima dell’ esecuzione” possa servire ad “educare” il pubblico, facendo diminuire la criminalità.
Del resto è convinzione dei dirigenti politici e di buona parte dei cittadini cinesi che la pena di morte sia un atto di “giustizia” e che la paura dell’ esecuzione sia utile per contenere la criminalità, un concetto ben espresso dal proverbio tradizionale che raccomanda di “ammazzare la gallina per spaventare le scimmie”.
In Cina le esecuzioni capitali sono migliaia ogni anno. Il loro numero è un segreto di Stato ma secondo le valutazioni dei gruppi umanitari sarebbero tra le duemila e le ottomila all’ anno. I reati per i quali la pena di morte può essere comminata sono 55, tra cui molti reati non di sangue, come la corruzione.
Alcuni dei “dead men talking” (cadaveri che parlano), il titolo di un documentario sul programma del regista australiano Robin Newell, intervistati da Ding sono giovanissimi, come un ventenne che ha ucciso la madre che gli aveva negato i soldi per giocare ai computer-game.
A volte le testimonianze sono strazianti, come quella di un uomo che si rivolge dai teleschermi alla figlia per dirle che “papà è tanto dispiaciuto”. Come lo sono alcune scene, ad esempio quella di una giovane donna che piange disperatamente mentre, dall’ altra parte di una vetrata chiusa, il padre la saluta agitando una mano mentre viene portato all’ esecuzione.
Ding Yu, giornalista giovane e bella che ha un figlio piccolo, non mostra particolari emozioni nell’ intervistare uomini e donne che dopo pochi minuti saranno uccisi.
Rispecchiando la morale prevalente in Cina, spesso non esita ad accusarli con severità, dicendo ad uno di loro che “é una fortuna” che si trovi in galera.
Ding Yu ha dichiarato:
“Conosco nei dettagli tante storie, ho conosciuto la realtà di tanti crimini…non è una cosa buona, ora ho troppa immondizia nel mio cuore…”.
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