Fino al 6 gennaio il performer romano si esibirà con il nuovo spettacolo Fratto X, supportato dagli habitat di Flavia Mastrella e dalla spalla muta di Ivan Bellavista
Dopo due anni da “7-14-21-28” torna in scena l’artista romano, o meglio “il più grande performer vivente senza ombra di dubbio”, come lui stesso si definisce. “Fratto X” dà voce, tramite le abili trasformazioni di Rezza, a più personaggi che in realtà costituiscono sempre la medesima maschera unita nel dissacrare la spensieratezza, ridurre tutto ciò che ha attorno al proprio suono, alla propria voce, perché «la manipolazione è alla base di un corretto stile di vita».
È questo il senso di uno spettacolo ironico, tagliente, che coinvolge con le solite movenze frenetiche, i consueti scenari deturpanti, che “mortificano il corpo” donando efficacia alla mancanza di senso che percorre l’intera esibizione e che ci mette di fronte alla realtà di un io che, come suggerisce il titolo, è costantemente obbligato a dividersi con qualcos’altro: Mario che è contento di chiamarsi Mario e che vorrebbe che tutti si chiamassero Mario, mentre intanto cerca Mario, “l’unico che davvero può capirlo”, Rocco e Rita che giocano a scambiarsi ruoli, voci e cappelli e Peppe divorato dall’ansia che lo accompagna fisicamente fino all’età adulta e ne condiziona l’esistenza.
In un costante gioco di sdoppiamento Rezza annulla ogni tipo di singolarità, volontà, sicurezza o apparenza. Tutto è già deciso, persino nel ritratto di un quotidiano dialogo fra consorti, dove a parlare è solo Rezza che tuttavia rimprovera la “donna” (Ivan Bellavista) di assecondarlo muovendo le labbra.
Il vero significato di uno spettacolo decisamente più ironico rispetto ai precedenti è ravvisabile in una delle battute centrali: “Una forma del genere sarebbe stata inconcepibile senza la demenza”, dove Rezza e Bellavista sciattamente avviluppati in lenzuola bianche, ondeggiano in una grossa X che sembra replicare i movimenti di un aggeggio meccanico di cui siamo tutti schiavi, come testimonia lo specchio che rende lo stesso pubblico protagonista e vittima al medesimo tempo di una messinscena comica e patetica in cui siamo tutti coinvolti.
Articolo a cura di Marco Ciotola
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