Amina Sboui la giovane tunisina appartenente a Femen lascia un gruppo islamofobo e dalle sovvenzioni di dubbia provenienza
Amina la Femen
Le sue foto a busto nudo postate sul web, le erano valse la riprovazione della famiglia, l’isolamento, senza internet, né telefono.
Poi più di due mesi di prigione per profanazione di un cimitero e Amina la Femen era diventata un simbolo, in un paese del mondo arabo in cui la donna godeva un tempo dello status più moderno, ma che dall’arrivo dell’Ennahdha, non gode più delle stesse libertà, e la parità era stata messa in discussione .
“Il movimento Femen esprime bene quello che voglio fare, lotta per il diritto delle donne e di tutti senza frontiere” così si era espressa Amina, la giovane tunisina per la quale “…l’uomo arabo vuole dominare, per lui la donna è una Barbie, una marionetta”
Da poco recuperata la libertà, Amina lancia una nuova sfida: una nuova immagine postata sul sito delle Femen, il torso rigorosamente senza veli e tappezzato di lettere nere che parlano chiaro: « We dont need your democracy », non abbiamo bisogno della vostra democrazia, facendo riferimento al preteso modello democratico dell’Ennahdha, il partito islamista al governo in Tunisia.
E per rendere il messaggio ancora più chiaro un cocktail molotov nella mano di cui Amina accende la miccia con la brace della sigaretta che le pende dalle labbra.
Una ragazza decisa, determinata dal carattere volitivo, sostenuta da migliaia di donne del mondo intero, contro la cui prigionia in tante hanno protestato, manifestato, gridato il proprio sdegno e il proprio appoggio a lei.
Tre Femen, due francesi e una tedesca, partite in Tunisia per sostenerla, anche loro sventolando davanti al palazzo di giustizia di Tunisi, a mo’ di bandiera i loro tre busti nudi, sono finite per un mese in prigione prima di essere espulse dal paese.
Senza la cassa mediatica delle Femen chissà come sarebbe finita o quanto sarebbe durata l’incarcerazione di Amina.
Amina ex Femen
Ma oggi Amina prende le distanze dalle Femen, un gruppo islamofobo, finanziato chissà da chi? Magari da Israele. «Je ne veux pas être dans un mouvement où il y a de l’argent douteux. Et si c’était Israël qui finançait? Je veux savoir. Et puis, je ne veux pas que mon nom soit associé à une organisation islamophobe.»
Amina ha chiesto chiarimenti mai ottenuti da Inna Shevchenko, leader delle Femen a Parigi, sulla provenienza dei finanziamenti del gruppo e non ha apprezzato certe azioni delle Femen.
Sicuramente non quelle islamofobe: da Amina Akbar, Femen Akbar (sorta di parodia di preghiera) davanti l’ambasciata di Tunisia in Francia o il rogo della bandiera del Tawhid davanti alla moschea di Parigi(dogma fondamental dell’Islam) ragion per cui ha deciso di dissociarsi, senza peraltro annunciare il suo distacco, come racconta in una intervista a Huffington Post Maghreb.
Ma non per questo ha deciso di abbandonare la lotta, che continua a torso nudo e con la lettera A di Amina e di Anarchia ben dipinta in rosa. Pronta forse a unirsi al gruppo Femminist Attack per lottare da anarchica contro tutto quanto il potere costituito.
Reazione delle Femen
Per Inna Shevchenko, ucraina ma naturalizzata francese e leader Femen, benché sorpresa dalla sua decisione, la scelta di Amina è quella di una ragazza “distrutta dalla prigione, un’eroina spezzata dalla lotta”. Non sarebbe la prima Femen che dopo un’esperienza in carcere lascia il gruppo femminista.
La critica di Amina contro le Femen delude Inna Shevchenko. La campagna mondiale Amina Free che ha visto i primi petti nudi manifestare nei paesi musulmani, che le ha permesso di tornare libera mentre tante donne ancora marciscono in prigione, è una lotta tradita da Amina, quando lei la squalifica tacciandola di controproducente.
Per la Shevchenko, ed è questo quello che maggiormente dispiace alla Femen parigina, in realtà Amina farebbe il gioco degli islamisti, che potranno presentare questa decisione come un pentimento delle sue azioni e utilizzarlo contro donne di altri paesi.
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